Londra (AsiaNews) - Bandite dalle leggi sul lavoro e dalle norme
nazionali nella disciplina dei luoghi pubblici, le religioni e loro simboli
sono rientrati a pieno titolo sul suolo britannico durante le Olimpiadi di
Londra 2012, entrate nell'ultima settimana di competizioni sportive. Dal
centometrista Usain Bolt alla judoka saudita Wojdan Shaherkani, da Maziah
Mahusin - prima atleta alla rassegna per il sultanato del Brunei - al fondista
di casa Mohamed Farah, fresco vincitore dei 10mila metri, la 30ma edizione ha
segnato un riscatto per quanti associano alla competizione agonistica un valore
profondo per la fede professata. Che diventa un elemento di forza e
concentrazione prima di gareggiare, oppure gesto di ringraziamento dopo un
successo atteso per quattro anni e frutto di lunghi e duri allenamenti.
Se ai giochi venisse applicata la legge britannica in materia
di lavoro, il re della velocità Usain Bolt - ieri il giamaicano ha bissato il
successo olimpico di Pechino 2008 - dovrebbe essere squalificato per il segno
di croce e per aver appeso al collo il simbolo religioso più famoso per i
cristiani. Un paradosso? Un'esagerazione? Niente affatto, se pensiamo alla
vicenda della hostess della compagnia British Airways, licenziata perché
indossava una croce. Per la cronaca, la donna ha perso anche la causa in
tribunale; per i giudici, simboli e religioni non vanno esibiti - o
semplicemente indossati - in nome del "politically correct" che tutti
i sudditi della regina devono rispettare.
Un capitolo a parte va dedicato alla prima donna saudita in
gara alle Olimpiadi: è la 18 judoka Wojdan Shaherkani, al centro di una vivace
polemica fra federazione e delegazione saudita per il tipo di velo che la
lottatrice avrebbe dovuto indossare. Per i vertici del judo, il velo
tradizionale - l'hijab - poteva mettere a rischio la salute dell'atleta, con
rischi di soffocamento. La delegazione di Riyadh sembrava inflessibile, solo il
tradizionale velo islamico. Alla fine si è giunti a un accordo e per 82 secondi
- tanto il tempo impiegato per venire sconfitta dalla rivale - ha potuto
calcare, con una cuffia nera in testa, il palcoscenico olimpico. E, a dispetto
dei risultati, si dice pronta a riprendere gli allenamenti in vista di Rio 2016.
Tuttavia, è proprio un campione di casa a riscattare il
valore della fede in una nazione che vuole nascondere i simboli religiosi. È il
fondista Mohamed Farah (nella foto), che si è aggiudicato i 10mila metri su
pista. Al termine della gara, il 29enne l'atleta di origini somale ma cresciuto
in Inghilterra - di religione musulmana - si è inginocchiato sulla pista e ha
ringraziato Allah per il successo. Un gesto spontaneo, termine ultimo di
quattro anni di fatiche e sacrifici. Che, a differenza della hostess della British
Airways, non comporterà squalifiche o il ritiro della medaglia olimpica.